Roghudi, un borgo dove una selvaggia natura danza con floreali culture

 

I nomi dei luoghi racchiudono nel loro ventre un intreccio inestricabile di elementi empirici, storici, fantastici che vengono illuminati e resi prorompenti dal magistrale gioco di sintesi, fra il reale e l’ideale, svolto dal mito, allo stesso tempo silenzioso nel suo farsi ed emotivamente sonoro nel suo manifestarsi. Il viaggiatore che inizia questa pulsante esistenziale avventura della scoperta di Roghudi deve predisporre il suo spirito per accogliere alcune conoscenze dell’Aspromonte sino in Calabria, nella provincia di Reggio Calabria. Una accoglienza del senso di quella parola – Aspromonte – poetica e ambigua allo stesso tempo, richiamante quell’- aspro – che qualifica e caratterizza l’insieme di montagne, fiumare, valli, arditi sentieri, paesaggi primitivi e selvaggi in cui s’eleva come un’Araba fenice Roghudi vecchia.

 Come giungere a Roghudi vecchia

 Roghudi è un paese fantasma che si trova nel cuore dell’area grecanica calabrese. Da Reggio prendendo la statale 106 Jonica si prosegue fino a Bova Marina, da qui salendo per Bova e sorpassandola si iniziano a vedere le indicazioni per Ghorìo di Roghudi e Roghudi Vecchio. Giunti al paese di Roghudi nuovo mancano ancora 40 chilometri per pervenire all’affascinante Roghudi vecchia.

L’inizio di un viaggio affascinante

Da qui ha inizio un percorso che ci porterà sulle pendici meridionali dell’Aspromonte. Un viaggio che si veste dei colori d’una avventura che sembra ambientata in un luogo sperduto dell’Africa o del centro- America. Come d”incanto inizia un viaggio dove il turista si trova a dover affrontare vari ostacoli: scarsità di segnaletica, stradine composte da tornanti mozza fiato con discese a serpentina. Attorno il paesaggio assume le sembianze primordiali e selvagge in cui affiorano crepacci e grotte suscitando ancestrali emozioni proprie degli uomini primitivi. Sgorga spontaneo il mito di Giasone alla ricerca del Vello d’oro e ci si sente come argonauti dove, invece di solcare un mare uggioso e potente, si percorrono luoghi dove non ci stupiremmo veder apparire in lontananza gli animali antichi che popolavano un tempo la nostra penisola.

La storia antica del borgo abbandonato

Roghudi vecchia sorge, a circa seicento metri di altitudine, alle pendici meridionali dell’Aspromonte. Come un funambolo è abbarbicato su uno sperone roccioso sovrastato dal Monte Cavallo di 1331 metri d’altezza. Diverse sono le ricostruzioni inerenti la sua origine storica. I primi documenti che ne certificano l’esistenza sono riconducibili all’undicesimo secolo: questo rappresenta la data condivisa dalle diverse ricostruzioni storiche, ma le origini dell’insediamento rupestre sono certamente più antiche. Stando alla ricerca più accreditata, il primo nucleo abitativo “moderno” ebbe origine durante la fase finale dell’Impero Romano, dove iniziarono nelle zone pianeggianti e marine le scorribande dei saraceni rendendo insicuri quei luoghi. Argomento forte a sostegno di tale ipotesi risiede nella lingua che si parlava a Roghudi vecchio: il Grecanico, una trasposizione popolare del greco antico che si parlava nelle colonie della magna Grecia calabra. Sempre secondo questa coinvolgente e seduttiva tesi le italiche popolazioni locali assorbirono la lingua greca con influenze doriche che mantennero nei secoli e che ancora oggi sopravvive e vive fra gli anziani che popolano altri piccoli centri dell’area grecanica. come Bova o Gallacinò.

Camminare nel paese è come essere spettinati dalla storia e collocati in un luogo lunare

Dopo una specie di safari che, può acquietare esigenze e desideri degli amanti delle avventure, ecco apparire in tutta la sua magnificenza una immagine di sgocciolante bellezza, di felice sintesi fra, uno scorcio di un paesaggio preistorico e un centro abitato a forma serpeggiante collocato nel piccolo spazio dello sperone montuoso. Alla base dello sperone roccioso s’estende in forma irregolare la fiumara dell’Amendolea. Un’ampia distesa di pietre bianche che, sembrano comporre una immensa scultura post-moderna, dove il corso d’acqua principale si dirama in piccoli e chiacchiericci rivoli acquosi. La fiumara dovrebbe derivare il suo nome dalla passata presenze di alberi di mandorli. La bizzarra creazione della natura dona un tocco di superba eleganza allo sperone roccioso sopra, accovacciato come un austero falco, si sdraia pericolosamente l’antico paesino.  Dopo una breve salita si entra nel piccolo centro. Nell’osservare le semplici, slabbrate, semi-diroccate case si è avvinti da un sentimento di inquietudine e di felice stupore per la collocazione delle casette costruire sul precipizio dello sperone montuoso dove regna un sentore di estrema precarietà.

In mezzo a questi edifici in rovina brilla di una malinconia, sorridente e pacata, la chiesetta restaurata di San. Nicola. In essa, fa bella mostra di se, una croce in legno e immagini votive che si ergono come simboli che sembrano sventolare un antico canto umano. Un canto che, dai pertugi del passato, ci richiama a non far cadere nell’eterno oblio questo luogo dove, per secoli e secoli hanno vissuto, uomini e donne, giovani e vecchi. In questo paese che sembra al confine tra sogno e realtà, sembra essere stato propizio nello zampillare leggende e racconti popolari alcuni dei quali mostrano tratti apparentemente duri ma riscaldati dal buon senso popolare. Secondo quanto riportato, a metà del Novecento venivano conficcati grossi chiodi ai muri delle abitazioni: le donne vi assicuravano cordicelle che legavano alle caviglie dei più piccoli affinché non precipitassero nel burrone, come già successo in passato ad alcuni sfortunati bambini.  Nel lento attraversare questo piccolo scrigno se si aguzza l’udito, alleata con una prolifica fantasia, si può percepire un antico linguaggio emanato dalle generazioni che sono nati e morti in questo acrobatico paese. Si può sentire un floreale rincorrersi d’espressioni di un grecanico, rustico e popolare, avvolte da un leggero manto di frammenti sonori dove rivive la magnificenza delle parole del greco- antico. Uno spartito linguistico dove si sono sedimentate e cristallizzate, l’eco della cultura bizantina, quella Normanna che, con Ruggero secondo di Altavilla, riunì questa area Grecanica sotto il protettivo o soffocante mantello della Chiesa Cattolica Romana in cui divenne dominante la lingua latina. Cappa soffocante che non spense, ne gettò nell’oblio quel greco antico declinato nel grecanico di questa area della Calabria. L’influenza del greco ebbe la meglio sulla colonizzazione del latino, in queste aspre e inaccessibili terre gorgheggia testardo e duraturo. Solo essere corporeamente nel cuore di Roghudi vecchio ci si può immergersi in un mondo dove, il pudico chiacchiericcio della fiumara Amendolea si cinge delicatamente il sonoro vociare del grecanico che, porta con se, un passato che continua a danzare nel presente.

Silvano Vinceti

Sitografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Roghudi

https://www.eosdiscovery.it/2020/03/30/roghudi-vecchio-una-citta-fantasma-immersa-nellaspromonte

https://initalia.virgilio.it/roghudi-borgo-fantasma-aspromonte/roghudi-il-borgo-fantasma-a-picco-su-una-roccia-in-aspromonte-31098

https://www.scoprilacalabria.com/roghudi-il-paese-fantasma-a-strapiombo-sullamendolea/

 

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