Cibi geneticamente modificati: dal no, ma.. al si, però…

Una ventina di anni fa, quando facevo l’università io, modificare il corredo genetico di un organismo vegetale per inserire caratteristiche volute era un processo molto complicato. Contestualmente, la possibilità di ricercare, coltivare e mangiare organismi fortificati era, ed è tutt’oggi, molto avversato sia da sinistra che da destra.

Oggi, le tecniche per modificare il DNA di un organismo sono avanzate talmente tanto che chiunque può, anche senza un laboratorio attrezzatissimo, creare nuove varietà o nuovi caratteri in qualsiasi specie vivente. Eppure, mentre 20 anni fa i dilemmi etici erano al centro del dibattito sulla genetica, oggi questo dibattito sembra rimanere solamente solido riguardo i cibi geneticamente modificati.

É noto che in Cina, i primi esseri umani geneticamente migliorati per non essere predisposti a malattie ereditarie sono stati “creati” col sistema CRISPR-9;  allo stesso tempo, mentre una volta per creare un nuovo virus era necessario infettare una cellula con due virus differenti e aspettare che ricombinassero il loro RNA, oggi basta creare una sequenza di mRNA sintetica, immetterla in una cellula e in brevissimo tempo i ribosomi creeranno il nuovo virus pronto ad infettare ogni cellula bersaglio (si, avete capito bene!).

Nonostante questo il dibattito morale ed etico  sembra ormai aver perso interesse, sia per quel che riguarda l’eugenetica che la sperimentazione su nuovi patogeni a guadagno di funzione. Per i cibi OGM, invece, la percezione collettiva ed il dibattito etico sono ancora ancorati ad un preconcetto che  da sinistra a destra ripete lo stesso mantra: sono sbagliati! Fanno male! Mangiare un organismo con il DNA diverso, che schifo!

Tutte baggianate, ovviamente, ma che trovano riscontro in precisi interessi economici: Ai tempi, solo grandissime aziende potevano permettersi di ricercare, in laboratori privati, nuove varietà, rifacendosi ampiamente dei costi vendendo ogni anno agli agricoltori i semi, sterili. Questo voleva dire che solo le grandi multinazionali alimentari avrebbero potuto permettersi questi semi, e i piccoli produttori avrebbero patito una concorrenza sleale. Inoltre, in Italia, proprio a causa della nostra particolarità riguardante varietà “tipiche” delle coltivazioni italiane, ha fatto pensare ad una “invasione” di sementi straniere ed un vantaggio delle aziende straniere che avrebbero soppiantato le nostre coltivazioni tipiche. Questo ha bloccato non solo la coltivazioni di varietà GM straniere, ma anche l’intera ricerca italiana riguardante le stesse. Una completa assurdità, bloccare la ricerca delle nostre università per “proteggerci” dalla ricerca straniera. Fatto sta che, nel nostro paese, il settore agricolo e l’allevamento non hanno mai potuto sostenere i costi di produzione e rimanere competitive, perciò organismi GM no, MA, in deroga, è possibile comprare dall’estero mangimi ogm per gli animali, mentre le carni “bio”, allevate senza questi mangimi, in gran parte provengono dall’estero. Inoltre, mentre rimane vietato l’uso di varietà resistenti al glifosato (un erbicida che blocca la fotosintesi) questo stesso erbicida (brevetto esclusivo di una multinazionale) è approvato per la dispersione in campo anche in Italia: perché ce lo chiede l’Europa!

Basta essere capaci di fare due più due, per comprendere che a queste condizioni lo sforzo italiano per avversare gli OGM ha raccolto risultati diametralmente opposti, come spesso capita per misure ideologiche o imbecillogiche che i nostri governanti, ahimè, mettono in atto. Non è stata creata una ricerca nazionale riguardante le nostre varietà, non è stato protetto il piccolo produttore, non è stata limitata la concorrenza sleale delle aziende straniere.

Cosa potremmo fare? Spostare il paradigma dal no, ma… al si, però…

Si, dovremmo riprendere ed incentivare una ricerca pubblica che parta dalle nostre varietà nazionali creando, con i sistemi moderni di biotecnologia, varietà resistenti alla siccità (e Dio sa quanto ne avremo bisogno nei prossimi decenni), che non necessitino pesticidi perché non appetibili agli insetti, et cetera. Sarebbe poi opportuno legiferare in modo che queste varietà, coltivate in modo biologico perché permettono di farlo, siano permesse ed etichettate come “made in Italy biologico”.

Bisognerà fare in modo che i coltivatori e gli allevatori italiani, così come i consumatori, traggano veri benefici da queste innovazioni. Diamo al consumatore la scelta, con opportuna etichettatura (quella già esiste, per fortuna), tra un prodotto normale, coltivato in Marocco e trasportato qui perché costa meno, ed un prodotto italiano, coltivato e controllato in modo perfettamente biologico, senza pesticidi o diserbanti, frutto della ricerca genetica italiana e che è perfettamente competitivo rispetto a quello estero. Si lascino liberi i coltivatori di scegliere quale prodotto e come coltivarlo, utilizzando sementi GM ma perfettamente riproducibili, senza il bisogno di ricomprarle ogni anno.

Inoltre, con la stessa tecnica col quale inseriamo una sequenza genetica nel nostro pomodoro pachino, possiamo inserire un TAG genetico che indichi la fattura italiana di quella varietà ricercata. Il contadino pianta i semi, e da quelle piante ottiene altri semi che può piantare l’anno successivo. Nessuno, eticamente, può avversare il processo naturale per produrre il cibo. Tuttavia, senza dover ricomprare i semi, con un esame genetico dal costo irrisorio, è possibile verificare, attraverso il tag genetico, la proprietà intellettuale dietro al seme, di fatto sostenendo la ricerca, che a sua volta sosterrà nuovamente, in un circolo virtuoso, i coltivatori di domani.

In conclusione, questo cambio di paradigma per il sostentamento della ricerca e dell’agricoltura nazionale, non avverrà mai se prima non si cambierà totalmente il sistema della tecnocrazia italiana, se non ci si riprende un minimo di democrazia, facendo si che sia il demos a comandare le scelte del governo, invece del contrario. Facendo si che il volere degli italiani sia superiore a quello delle grandi aziende straniere che non vedono l’ora di mettere le mani sulla nostra ricchezza (che non sono le materie prime, sono le nostre eccellenze alimentari, turistiche, intellettuali), che non siano gli organismi sovranazionali a comandare a casa nostra. Ancora una volta, il nostro è un problema di sovranità.

La nostra sfida, in un mondo che velocemente cambia dal liberalismo coloniale americano ad un mondo multipolare di nazioni alla pari, sarà riprenderci un po’ di orgoglio nazionale e finalmente tracciare la nostra rotta. Se, viceversa,  continueremo a comportarci da colonia accettando quel che ci viene imposto, non faremo né il bene nostro né quello del Pianeta. Perché gli OGM sono già arrivati in Italia, ma i vantaggi ovviamente no.

 Giulio Moretti, Ph.D

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